Gli Anni 70
 
 

Feci una lunga tournée, di mesi, con La governante. Senza Giorgio, questa volta, senza la Mammi, ma sempre con il mio amatissimo, impareggiabile Gianrico Tedeschi. Gianrico Tedeschi ne La governanteGianrico è l’incarnazione dell’estro metafisico, della fantasia nevrastenica, della stralunata comicità. Ha una voce bellissima e perfettamente intonata. Nella famosa edizione di Orazio Costa della XII Notte  faceva il Buffone Feste e cantava un’aria d’amore accorata e struggente che diceva: “Vieni omai, vieni, morte…Solo un triste cipresso mi vegli…Fuggi omai, fuggi vita, che mi uccide un crudele bel viso…” Mi ricordo la melodia e le parole come fosse ieri, e sono passati quasi 60 anni! Le sue soluzioni comiche sono sempre al limite della follìa, e le sue improvvise e sotterranee dolcezze ti conquistano il cuore per sempre.

Questa miracolosa commedia aveva successo ovunque; anche se a me questo personaggio ambiguo di Caterina, forse persino ipocrita (ma poi no, perché paga con la vita la sua colpa), mi intossicava un po’ il sistema nervoso.

Furono mesi durissimi. Ero in crisi con Albertazzi, se si può essere in crisi con un anguilla sfuggente e irresponsabile. Lui è sempre innocente, come un bambino criminale. Ma il bello (il brutto) è che lui è innocente davvero. Per cui uno si trova “shadow - boxing”, senza nemmeno la soddisfazione di poter affrontare l’avversario a brutto muso.

A quel tempo era tutto invaghito da una giovane sedicente “cantante”, si fa per dire. Si chiamava Penny Brown. Era hippy, vestiva da hippy, pensava da hippy,  ma con la carta di credito del papà, ufficiale americano. Aveva capelli biondi lunghissimi e lisci. Un viso non banale, occhi azzurri, un bel corpo slanciato e un po’ legnoso, mani e piedi enormi e rugosi, fumava spinelli a tutto spiano. Era sbrigativa e rumorosa, come quelli del Texas da cui proveniva. Però era anche autenticamente affettuosa e generosa. Malgrado tutto non mi era antipatica. Giorgio sosteneva che, per lui, lei era semplicemente l’adolescenza non vissuta, “una caramella di menta”. Sì, va bè, però…

MilaEro talmente infelice e stressata che una notte, a Viareggio, era primavera inoltrata, credo, pensai seriamente al suicidio. Stavo al Palace, con la mia meravigliosa cagna Mila. Ma come ci si suicida con aspirina, Tavor e gocce per il catarro? Andai a passeggiare con Mila  sulla spiaggia, sulla battigia, coi piedi nell’acqua. Erano le tre di notte, non c’era anima viva. Pensavo a  “E’ nata una stella”, con James Mason che al tramonto s’inoltra nell’oceano…poi resta il suo accappatoio a sciacquettare sulla spiaggia…. Io non avevo accappatoio, il Tirreno non è il Pacifico e, accidenti!, io nuoto come un delfino. Mi sedetti sulla riva. Mila mi appoggiò il suo muso divino sulla spalla. Mi guardò con i suoi occhi pieni di tutto l’amore del mondo. Le dissi con quel tono di voce basso e soffuso che a lei piaceva tanto: “No, amore, sta’ tranquilla. Io, te, non ti lascerò mai”.

Nell’autunno dello stesso anno, un giorno dopo la grande, tragica alluvione,  debuttai a Genova con Questo amore così fragile, così disperato, tre atti unici : T. Williams: Ritratto di Madonna - Jules Renard: Il piacere degli addii - Jean Cocteau: La voce umana. Regia di Davide Montemurri.

Ebbi, in quell’occasione, un critico inconsueto: Giorgio Albertazzi. Ne scrisse un articolo per l’Europeo, nell’ottobre 1970 da cui cito alcuni paragrafi:  “…ho subìto uno shock, che mi ha atterrito e esaltato. Certo l’emozione teatrale più profonda della mia vita…… Anna sta su un palcoscenico e “recita”, per così dire, tre personaggi femminili, nevrotizzati dall’amore perduto o mancato. Recita? Ecco, questo è il punto. Personalmente non sono mai stato tenero nei miei giudizi su Anna. Giudizi professionali, intendo. Un po’ per pudore, un po’ per dissenso…..Fino ad un paio di anni fa Anna recitava troppo, a mio parere, anche se molto bene. Eredità, credo, della sua esperienza con Vittorio Gassman, proficua e stimolante sotto molti aspetti…..ma Vittorio le era rimasto incollato addosso. Qualcosa di scientifico e di ginnico insieme, il culto della dizione, dei fiati, dell’attitudine scenica (tutto sempre un tantino accentuato, tecnico, al limite del didattico)…..

L’altra sera assistendo allo spettacolo ad un certo momento ho pensato che lassù, su quella scena, si sarebbe potuto fare a meno di tutto: della messa in scena (bellissima, di Montemurri), dei costumi, della musica, del testo perfino, perché il teatro era ciò che succedeva fra lei e noi, che stavamo in platea. Un gesto sacrale, per dirla con Grotowski, torturato e torturante, una volontà di denudarsi e di rivelarsi, impudica e violenta.

…..Appena l’ho vista apparire in scena, Anna, nella vestaglietta sdrucita, ma che conserva un’antica dignità, della signorina Collins, ho subito capito che Anna non “recitava”…... C’è stato un momento verso la fine dell’atto, in cui Anna si piega sulle ginocchia, circondata dai suoi carnefici involontari, aggredita dai fantasmi della sua allucinazione, e grida di orrore, la testa appoggiata per terra, una smorfia patetica sulla bocca, un respiro di animale ferito a morte….."

Perfino Renard (manierismo, intelligenza, cinismo) diventa “gesto”. Dopo l’addio dell’amante la protagonista resta sola, la testa appoggiata alla spalliera del divano. Anna era “totalmente” sola. Non piange, non fa espressioni, non fa niente. Ma che mi succede, penso, sto scoprendo il teatro? La gente attorno a me mormora: “Com’è bella! Ora finalmente è proprio lei! Poverina!”. La gente. Il pubblico. Pietoso e crudele. E’ parente, penso, di quello che l’altra sera al teatro Sistina di Roma, durante l’assegnazione delle Maschere d’Argento, ha gridato a Walter Chiari: “Torna in galera Walter!”

Anna in Questo amore così fragile così disperato…..L’ultimo atto, quello di Cocteau, la celebre telefonata già interpretata da Marie BellMadeleine Robinson, Ingrid Bergman, Anna Magnani. Una donna disperata che stringe un telefono come un’arma per suicidarsi; all’altro capo del filo l’uomo che l’ha abbandonata. L’ultima telefonata ….Anna, quella sera a Genova, ha fatto tabula rasa delle maniere e dei modi di recitare. Anna ha lanciato un urlo, un grido muto, selvaggio, primitivo. E allora il luogo comune dell’amante disperata di Cocteau si è trasformato in un gesto umano puro.

….La critica di Genova ha scritto con sincera ammirazione…Enrico Bassano ha scritto, tra l’altro: “Anna Proclemer una e tre: da grande attrice qual è ormai da tempo. Una grande prova di bravura, sostenuta dai nervi, dal cuore e da quella forza plasmatrice che non conosce ostacoli né incertezze e che fa di  Anna Proclemer il più alto e valido ponte di passaggio fra la grande interprete classica del passato e la moderna attrice che raccoglie nei personaggi anche l’ultima goccia di sangue”.

Anna sul programma ha scritto poche parole di presentazione, le ultime righe sono: “Tre creature diversamente infelici, ma legate da un unico filo rosso: la grandezza sacra della vera disperazione. E raccontando di loro parlerò anche di me, inevitabilmente. Sarà, ogni sera, anche un viaggio nel mio cuore.” Forse è tutto in queste parole il segreto di quella sera al Politeama di Genova. Anna ci ha mostrato le sue ferite.” G. Albertazzi.

 
 
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