Ricci - Magni - Proclemer - Albertazzi
 
 

La Compagnia tornò in Italia dal Sudamerica con la nave. Ardenzi ci precedette con l’aereo. Andava al Ministero, a buttare la basi della Compagnia che aveva in mente, per la prossima stagione 1955-’56.

Ci accolse a Genova. Tenemmo sulla nave stessa la prima riunione che doveva decidere così fortemente del mio futuro artistico (e anche privato). Gli addetti alla manutenzione picchiavano sulle lamiere, con suoni sinistri.

L’idea era: una Compagnia a 4: Ricci, Magni, Proclemer, Albertazzi. Insomma quattro primi attori, due più stagionati, due giovani. Uno spettacolo ciascuno. Per Ricci si sarebbe ripreso il Re Lear (Magni, Cordelia: io Gonerilla, Albertazzi il Fool). La distribuzione più o meno quella dell’America, tranne Buazzelli che aveva un impegno con Strehler.Gonerilla nel Re Lear

Per la Magni una riduzione da Resurrezione di Tolstoj. Per Albertazzi Il seduttore di Diego Fabbri (Albert., io, Franca Nuti, Bianca Toccafondi, come in America).

E per me? E qui cascava l’asino. Ardenzi aveva avuto un’idea formidabile: La ragazza di campagna di Clifford Odets. Tre parti meravigliose per Ricci, Albertazzi e per me. Splendido. Ma c’era un intoppo. Non avevamo i diritti di rappresentazione. Li aveva comprati Paolo Stoppa l’anno prima. Solo per toglierli dal mercato, come faceva spesso; non era un testo adatto a lui o alla Morelli.

In conclusione , io accettai al buio. Ero l’unica, dei quattro, a non poter contare su un testo mio. Ma avevo fiducia in Ardenzi, e poi, come sempre nei momenti delle decisioni importanti, mi aveva avvolta la solita benefica nube di fatalismo, che mi ha risparmiato, molte volte, pericolosi stati nevrotici.

Insomma, non so cosa riuscì a combinare  Ardenzi quando tornammo a Roma, a quali traffici più o meno corretti ricorse, ma io la mia Ragazza di campagna riuscii ad averla . Fu un grande successo per tutti e per me un’esperienza fondamentale.

Il mio rapporto in scena con Renzo Ricci era stupendo. Avevo per lui un’ammirazione sconfinata. Stavo sempre in quinta, nel Re Lear, a vederlo nelle sue scene più importanti. Aveva a volte delle serate in cui tirava via, adagiandosi sui suoi mezzi spettacolosi. Ma spesso mi dava i brividi e mi commoveva fino alle lagrime.

I costumi del Re Lear disegnati da PizziRicordo una sera a Sanremo. Poca gente in sala, pubblico distratto, si sentivano i croupiers gozzovigliare nel locale adiacente, durante la loro pausa di riposo; ogni qual volta nel testo di Shakespeare veniva detto un numero (che so: “..le mie 3 figlie” o “…i miei 30 Cavalieri…” -  si vedevano persone alzarsi di scatto per precipitarsi alla roulette a puntare su quel numero. Ebbene quella sera Renzo recitò in modo sublime. Quando non eravamo in scena stavamo tutti in quinta, a divoracelo con gli occhi e con il cuore. Alla fine andai nel suo camerino, in lagrime. “Ma Renzo,” gli dissi abbracciandolo “ti rendi conto di cosa hai fatto stasera? Ci hai stravolto! Una serata così stupida e volgare, poi. C’era anche poca gente…”.  “Nina” mi sussurrò in un orecchio (chiamava così tutti, da buon fiorentino, quando era affettuoso ” .…ma stasera c’erano gli Dei…”.

Renzo era di un’inimitabile eleganza. Non dimenticherò mai i suoi Principe di Galles di Caraceni,  le sue flanelle grigio perla, le sue pochettes, i suoi foulards, le sue cravatte che comprava a Londra. Da giovane aveva il gusto delle macchine sportive e dei grandi alberghi. Poi aveva dovuto ridimensionarsi. Una volta ci incontrammo a Firenze in un albergo non proprio di lusso. “Come siamo caduti in basso, Nina…”. Però non si faceva mancare niente di ciò che rende la vita gradevole. Spendeva per questo tutto quello che guadagnava. Non si è mai comprato una casa. Credo che sia morto con pochi soldi in banca.

La sua gradevolezza fisica era assoluta. Credo sia l’unico uomo che ho conosciuto di cui avrei potuto usare impunemente l’asciugamano del bidet e lo spazzolino da denti. Quando stringevo la sua mano agli applausi, anche se veniva da tre ore di Re Lear, coperto di pelliccie, pesanti costumi di lana, sudato, la sua mano era sempre fresca, nitida, asciutta, levigata come la sua anima di bambino.

La sua interpretazione in Ragazza di campagna fu un modello di  verità  e soprattutto di modernità.      

 
 
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