Mirra e il mio primo maestro: Orazio Costa
 
 

Orazio Costa, che dirigeva il Piccolo Teatro di Roma, mi offrì di interpretare Mirra di Vittorio Alfieri. Debuttammo ad Asti, nel maggio del 1948, proprio nei giorni in cui l’aereo che riportava in Italia il Grande Torino di schiantò contro la collina di Superga. Fu una grande tragedia che sfiorò appena i nostri cuori, presi come eravamo dalla frenesia del nostro lavoro. Magnifico e ignobile narcisismo dei teatranti.

Orazio CostaMirra, come personaggio, come testo e come linguaggio (la tragedia è in endecasillabi), farebbe tremare anche un’attrice molto esperta. Io recitavo da anni in parti molto importanti, ma sapevo pochissimo di me e dei miei mezzi tecnici ed espressivi. Recitavo d’istinto, seguendo il filo delle mie emozioni. Non sapevo di possedere oltre al talento innato, una tastiera di possibilità che andava esplorata, conosciuta, affinata, esercitata, raffinata.

Costa fu il mio primo vero Maestro. Furono mesi estenuanti e rapinosi in cui Orazio, con pazienza, implacabilità, fervore e amorevole vocazione didattica, mi insegnò tutto dell’endecasillabo: accenti, cesure, enjambement ecc. Mi insegnò, soprattutto, a servirmi del verso come veicolo delle mie emozioni. Voglio dire: a non farmi bloccare dalla forma metrica in una esposizione aulica, accademica, dei sentimenti; ma anzi a trovare proprio nella apparente e inesorabile rigidità di una forma chiusa, che doveva scrupolosamente essere rispettata, ispirazione emotiva, incentivo alla fantasia.

Un esempio, fra tanti.

Nella famosa scena di Mirra con Pereo, il promesso sposo, ricordo quanto Orazio si batté perché io rispettassi le cesure alla fine dei versi:


"                    ...e mille e mille
altri pensier, teneri tutti, e mesti"


Io tendevo a impastare tutto, perché mi sembrava di perdere continuità drammatica:


"...e mille e mille altri pensier, teneri tutti, e mesti"

Invece, come voleva lui, con quella microscopica sospensione fra “mille” e “altri pensier” tutto diventava più intenso ed espressivo. Come:


"                                  Ma, doman le vele
daremo ai venti, e lascerem per sempre
dietro noi queste rive"                            



   
Quelle “vele” lasciate sospese si riempivano davvero di vento e di disperazione.

Devo a Orazio Costa se una decina d’anni più tardi io feci una Figlia di Jorio che ha lasciato un certo segno nel nostro teatro, e se oggi posso dire Dante non troppo indegnamente.

Quanto a quella mia Mirra le critiche furono osannanti. Silvio D’Amico scrisse: “Anna Proclemer, un’ideale interprete di altissima nobiltà e di soffocato tormento. A tu per tu con i versi più aspri e difficili di tutta la nostra letteratura, ella ne svelò via via il sangue e l’anima, con una misura e con uno strazio e con una finale disperazione che trassero gli spettatori all’entusiasmo.”

Alfieri tornerà nella mia vita artistica circa vent’anni dopo, con una bella edizione di Agamennone  (io facevo Clitennestra) diretta da Davide Montemurri,  con Albertazzi, Franco Graziosi e Daniela Nobili. Facemmo una bellissima tournée anche all’estero. A Mosca, Leningrado, Bucarest, Belgrado.

Anna e De LulloHo sempre amato Alfieri. Forse perché un giorno lessi nella sua VITA, che è una sorta di sua autobiografia: “Io credo fermamente che gli uomini debbano imparare, in teatro, ad essere liberi, forti, generosi, trasportati per la vera virtù, insofferenti d’ogni violenza, veri conoscitori dei propri diritti, e in tutte le passioni loro ardenti, retti e magnanimi.” Come si può non condividere? Con Costa, al Piccolo Teatro di Roma, debuttando prima alla Villa Floridiana di Napoli, feci nello stesso anno  1949 una stupefacente edizione della XII Notte  di Shakespeare. Io ero Viola. Una distribuzione di “all-stars”, o per lo meno di “all-future- stars”. De Lullo, la Falk, Tedeschi, Buazzelli, Panelli, la Valori, Nino Manfredi nella particina di un servo;  e su tutti giganteggiava Salvo Randone, nella parte di Malvolio. Mai più visto un Malvolio così tragico e grottesco, nemmeno nelle famose compagnie inglesi shakesperiane.
 
 
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