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Il nuovo secolo, il secolo neonato, cominciò per me, teatralmente, con una commedia di Ronald Harwood, che mette in scena quattro vecchi.
Bella figlia dell’amore - (tit. originale Quartet). Quattro vecchi cantanti, che sono stati famosi, e si ritrovano per traversie varie in una Casa di Riposo, come potrebbe essere la Casa Verdi di Milano.
Io non mi divertivo per niente. Tre compagni adorabili, Maranzana, Masiero, Bellei. Un grande successo. Ottime critiche.
A me piacevano solo gli ultimi cinque minuti, quando i quattro cantano in play-back, su una loro famosa antica registrazione, il quartetto del Rigoletto (Bella figlia dell’amore, appunto) che era un loro cavallo di battaglia.
Tutti i giorni, dopo la prova, studiavamo con la musicista Cinzia Gangarella le nostre parti. Prima da soli, poi insieme, perché i movimenti della bocca, i fiati, l’emissione, fossero in perfetto sink col disco.
E lo erano! Io ho un discreto orecchio musicale, ma se canto sono stonata. Ma così, “doppiando” una grande cantante, ero a ogni recita, in quel punto, così felice ed emozionata che finivo sempre in lagrime.
Per lo più abbracciata a Mario Maranzana che faceva Rigoletto. Melomane anche lui, parente di musicisti, anche lui travolto e commosso dalla musica di Verdi. Siamo rimasti grandi amici e lo vedo spesso, lui e quella gran donna di sua moglie Maria Luisa. L’altro giorno mi ha portato un CD con la trascrizione per quartetto d’archi, fatta da suo fratello, proprio del nostro Quartetto. Incantevole.
A parte questo, una tournée bestiale, viaggi demenziali, doppi spettacoli, sfacchinate che una signora di ben 77 anni (perché tanti ne avevo, a quel punto) dovrebbe proprio evitare.
Giurai a me stessa che mai più , mai più avrei fatto compagnia. Lavorare sì, certo; ma solo Recital, Serate, Eventi, Occasioni speciali….
Credete che abbia rispettato il giuramento? Se andrete avanti a leggere lo saprete.
Dopo Quartetto, sì, insomma, Bella figlia dell’amore, che si concluse il 27 Aprile 2002 ad Agrigento, dopo 218 repliche, mi si aprivano davanti dei bei mesi lisci lisci, in cui pensavo di riposare, di prendermela comoda, di dimenticare valigie, viaggi, coincidenze, obblighi, impegni… E infatti….
Il 30 maggio 2002, per il mio compleanno, organizzai una cena per 28 persone, qui a casa, facendo danze indiane per la non-pioggia (la mia casa è piccola e se non si può usare anche il giardino sono guai). Non piovve.
Il 20 giugno, si celebrò il matrimonio fra la mia barboncina Lulù e Artù, partner che avevo cercato a lungo, perché fosse all’altezza della di lei avvenenza e nobiltà. “Meglio a casa sua, signora, che ha il giardino e il prato, così le due creature potranno starsene un po’ sole, nella loro privacy….”, dissero i padroni di Artù. Le due creature se ne fregarono del giardino, del prato e della privacy. Si misero tutte e due col muso schiacciato contro i vetri del soggiorno a guardare noi che stavamo dentro.
Solo quando le facemmo entrare, si corteggiarono con i dovuti salamelecchi sul tappeto davanti ai divani, e il loro amore fu felicemente consumato sui miei piedi, visto che ero occupata a tener su la coda di Lulù, virginalmente e ipocritamente ritrosa.
Il 3 Luglio, rifeci la valigia e andai per tre giorni a Genova, Pegli, dal mio adorato dentista e amico Flavio Gaggero, per una pulitina ai denti.
Tornata a Roma, mi chiusi in casa a scegliere, a studiare, e poi a ricopiare al computer i testi per Todi. Feci come sempre un bel copione con una affascinante copertina, come per tutti i miei Recitals. (Mi piace brigare con la grafica). Il titolo era : “artisti -- stravaganti -- pazzi”.
Il 25 e 26 Luglio al Festival di Todi feci i due Recital: uno di poesia e uno di racconti: Pirandello, Virginia Woolf, Alberto Savinio. Fu un grande successo. Ma io non mi sentivo bene.
Il 3 Agosto portai Lulù a Trevignano, sul Lago di Bracciano, da carissimi amici che hanno una stupenda villa, con grande giardino, molti cani, e me l’avevano tenuta altre volte. Non mi sentivo affatto bene. Guidando verso Roma, sulla via del ritorno, ebbi una specie di capogiro che mi spaventò moltissimo. Accostai la macchina e ci misi una mezz’ora per trovare il coraggio di continuare a guidare fino a casa. A casa, tanto per cambiare, feci le valigie. Le solite mostruose valigie.
Il 4 Agosto partii in aereo con Antonia e suo marito, Enrico Mancinelli, per Rogashka Slàtina, famoso luogo termale della Slovenia. Mi sentivo sempre peggio, di una debolezza morbosa, proprio non ce la facevo a camminare, ma pensavo: un po’ di riposo, di fanghi, di massaggi…
Il 5 Agosto, a Rogashka, il medico delle Terme che doveva consigliarmi le cure, mi guardò in faccia, mi fece fare un immediato prelievo di sangue e mi prescrisse un pronto ricovero in ospedale. Avevo 5 di emoglobina, praticamente mi stavo dissanguando per un’emorragia intestinale. Il solo ospedale della zona era a 30 chilometri, quasi in montagna. “La portiamo noi con la macchina “, disse Enrico. “Assolutamente no. Ci vuole l’ambulanza. “
E così, quello che io ricordo della Slovenia e delle sue bellissime Terme, è un’ ambulanza un po’ antica che sobbalzava sinistramente su una strada piena di buche; un piccolo ospedale di montagna dall’aria vecchiotta ma pulito e disinfettato fino allo spasimo; delle infermierine giovani e bellissime e fragranti che accorrevano a ogni squillo di campanello, sempre sorridenti, sempre premurose; dei medici bravissimi e coscienziosi; delle attrezzature impensabili in un luogo così sperduto.
Non capirono bene cosa avessi, ma mi misero in condizione di tornare a casa (l’aereo, in quello stato di anemia, era pericoloso) con flebo giorno e notte, trasfusioni (fra l’altro ho un sangue un po’ raro, ma riuscirono a procurarlo), e tanta, tanta umanità e buona grazia. Li ricorderò sempre con affetto e riconoscenza.
12 Agosto a Roma. Subito in clinica, per una decina di giorni. Analisi, esami, gastroscopie varie. Non ci capirono molto neanche qui. Il mio bravissimo medico Maurizio Muscaritoli che fortunatamente non era in vacanza dovette limitarsi a fare delle ipotesi. Comunque mi curò benissimo e mi rimise in piedi, sia pure un po’ traballante, in breve tempo. Quanto alla clinica romana, costosissima, mi fece rimpiangere il mio povero ospedaletto di montagna in Slovenia. Altra cordialità, altra umana partecipazione e perfino, sembrerà strano….altra igiene.
Il 16 Agosto, mentre ero in clinica, nacquero i piccoli di Lulù. 2 maschi e 2 femmine. I nomi, d’accordo con Antonia, furono tutti di ballerini famosi: Rudy (Nurejev) - Misha (Barishnikov) - Sylvie (Guillem) - Yvette ( Chauviré).
Quando tornai a casa dalla clinica tornò anche Lulù con i cuccioletti. Per un paio di mesi ebbi il mio bel daffare (fra una flebo, un analisi, un’ecografia e l’altra) a tirarli su, poi a svezzarli con creme di riso e omogeneizzati, poi a trovar loro una futura degna e rassicurante sistemazione. Ma che felicità vedere questi topini ciechi diventare in poco tempo dei veri esseri adulti; con personalità, carattere, atteggiamenti, propensioni personalissime e inconfondibili.
Vennero a prendere l’ultimo, il più bello, secondo me, Rudy. In un momento di follìa avevo accarezzato l’idea di tenermelo, poi la saggezza ebbe il sopravvento (la mia vita è già abbastanza complicata) e lo diedi a dei carissimi e affidabili amici.
Come loro si chiusero la porta alle spalle, Lulù si guardò intorno soddisfattissima. La casa era di nuovo tutta per lei. Gli occhi le sorridevano e mi sbirciava trionfante, come in attesa di una mia partecipazione alla sua gioia. La guardai con sdegno. “Brutta madre snaturata”, le dissi. Lei non capì e mi fissò interdetta. Io mi misi a piangere.
Albertazzi fu nominato, quell’anno, direttore del Teatro di Roma. Per aprire la stagione autunnale pensò a un evento-concerto, in omaggio alla città. Lo chiamò Concerto per Roma. E mi invitò a essere con lui in quell’occasione. Accettai con piacere. Poesia, piccole prose, e lo splendido violino del fascinoso Uto Ughi. Io non facevo moltissimo (Giorgio si era riservato la parte del leone), ma lo facevo con gioia. Debuttammo il 12 ottobre 2002 . Solo tre spettacoli, ma di grande successo e risonanza.
Il 28 ottobre feci un salto a Torino per registrare un Dante per Parola mia di Luciano Rispoli.
Il 2 novembre ero al cimitero del Verano con Giorgio a dire poesie di circostanza. Foscolo, Eliot, Cardarelli. Che amabile “bagno di folla”! Come può essere affettuoso, il pubblico, quando non è carogna!
11 novembre 2002. Prima “posa” per Il maresciallo Rocca. Mi aveva invitato Gigi Projetti, con grande amabilità.
Una piccola parte, ma importante nella storia della puntata. Un “cammeo”, come si dice nel nostro gergo. E’ un termine consolatorio e ipocrita, coniato per un attore abituato ai protagonisti, e che per una volta è relegato in una particina di fianco. “Ma è lei il perno della storia! Non la si vede molto, ma in realtà dipende tutto da lei!...”, ti dice di solito il regista, sperando di insufflarti un po’ di entusiasmo.
Il regista era Giorgio Capitani, uomo di squisita cortesia e delicatezza. Le pose furono cinque, nell’arco di un mese.
Mi conquistai la troupe tecnica, che all’inizio mi aveva guardato con apprensione. Mi confessarono poi, quando entrammo in confidenza, che si aspettavano una “vecchia diva del teatro”, piena di smancerie e di capricci. Ma che idea bizzarra! La mia puntualità, precisione, pazienza, senso professionale, li spiazzò completamente. La parrucchiera andava a raccontare a tutti che durante l’ora di pausa, invece di sdraiarmi sul divano della mia roulotte, me ne stavo seduta dritta per non spettinare la parrucca. “Fossero così le giovani!”, diceva ammirata. (Io ricordavo la Koll che si sbatteva per terra in quinta col costume bianco….).
Quando me ne andai portai dei regalini per tutti.
Del resto i tecnici, i miei tecnici, in tanti decenni di Compagnie, sono stati il punto di forza del mio lavoro, e in fondo anche dei miei affetti. A parte qualche eccezione, ho sempre amato di più i tecnici che gli attori dei miei spettacoli. Sospetto di essere “una sporca comunista”. Elettricisti, direttori di scena, sarte, macchinisti. Sono sempre stati il punto di forza, il cardine delle mie Compagnie. E’ grazie a loro se i miei spettacoli, malgrado l’usura dei viaggi e delle repliche, si sono mantenuti freschi e professionalmente pregevoli. E’ grazie a loro, alle loro cure, alla loro affettuosa e attiva partecipazione ai miei problemi, se io sono sopravvissuta fisicamente e psicologicamente alla bestiale fatica delle tournées. Mi hanno amato e io li ho amati con tutto il cuore.
Vorrei ricordarli tutti, uno per uno. Devo accontentarmi di citare qui almeno alcuni dei loro nomi: Vittorio Stagni. Angelo e Dante Sivieri. Franco Marzocchi. Domenico Maggiotti. Sussi. Alfredo Bosco. Nico Ferri. Carlo e Bianca Tonarelli. Angelo Palladino. Piero Martin. Mimmo Quercia. Ma sono di più,di più…. Mi perdonino quelli che, nella mia senile confusione, ho tralasciato di citare.
Non male, comunque, questa seconda parte del 2002, per dei “bei mesi lisci lisci”….
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