Quanto mi piaceva questo personaggio.

Una donna disadorna, apparentemente dura, incompresa, e in realtà tenerissima e quasi eroica. All’ultima replica, agli applausi, singhiozzavo senza ritegno (non mi è mai più successo), e Renzo Ricci mi diceva piano piano, senza muovere le labbra mentre si inchinava al pubblico: “Va bene così, Nina, va bene così…”

Albertazzi, che durante tutta la tournée in Sud America mi aveva sempre guardato con un leggero sospetto (Sangue verde, Gonerilla, Beatrice Cenci ecc.) per la prima volta mi disse, su una mia interpretazione,  cose molto lusinghiere. “Sei meno impalcata, meno classica, più asciutta, non ti appoggi più tanto sulla parola, affronti il personaggio dal di dentro, sei come dire?,  meno gassmaniana….” E dàgli con questo Gassman. Il fatto è che lui, del mio amore e della mia ammirazione per Vittorio è sempre stato un po’ geloso.

Certo che lui in questo Bernie Dodd era straordinario. Non recitava, mai. Era talmente vero, che quando in scena mi diceva delle cose sgradevoli io ci rimanevo male sul serio; sospettavo che ce l’avesse con me per qualche motivo, e alla fine dello spettacolo spiavo la sua faccia, temendo di vederlo personalmente rabbuiato nei miei confronti. La scena del bacio inatteso era un pezzo di théatre-vérité  che lasciava gli spettatori turbati. E anche me. La Toccafondi, in quinta, fremeva.

Giorgio mi ha insegnato molte cose. Del resto lui Maestro lo è nativamente, per vocazione.

Mi ha insegnato, con l’esempio, che in scena solo in uno scambio generoso, in un donarsi agli altri, in un protendersi il più possibile innocente e disarmato, troviamo la nostra verità, riaffermiamo la nostra consistenza. L’egoismo, la sordità, in scena, sono pericolosi e infruttuosi quanto nella vita. Io che tendevo a una certa “solitudine”, che tendevo a “monologare” anche parlando con gli altri, ho tratto da lui una lezione davvero preziosa.