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Uscito anche lui con un po’ di tristezza dagli avventurosi tre anni gassmaniani, nell’estate del 1955 Ardenzi organizzò, con l’appoggio del Ministero dello Spettacolo, un bel giro nell’America del Sud. Brasile, Argentina, Uruguay.
Riuscì a mettere insieme una Compagnia formidabile: Renzo Ricci, Eva Magni, Tino Buazzelli, Glauco Mauri, Luigi Vannucchi, Davide Montemurri, Franca Nuti, Bianca Toccafondi e Anna Proclemer. Oltre a Re Lear di Shakespeare, che vedeva riuniti nello stesso spettacolo tutti gli attori principali della compagnia, il repertorio era tutto, giustamente, italiano. Corruzione a Palazzo di Giustizia di Ugo Betti – Beatrice Cenci di Moravia (prima mondiale) – Il seduttore di Diego Fabbri – Il pellicano ribelle di Bassano – Sangue verde di Giovaninetti. Regista stabile, Franco Enriquez (caro, buffo, bravo, dolcissimo Franco). Scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Il mio costume di Gonerilla nel Re Lear è forse il più bello e geniale che io abbia mai avuto.
Mancava un primo attore. Un primo attore giovane. Ardenzi inaugurò, in questa occasione, la sua “trovata” di affiancare, ad attori di teatro universalmente affermati, dei “rampanti” divi della neonata televisione o del cinema. La sua scelta cadde su Giorgio Albertazzi. Con i primi “romanzi sceneggiati” e soprattutto con Appuntamento con la novella, in cui snocciolava a memoria dieci minuti di racconto e metteva in mostra le sue affascinanti mani, Giorgio era davvero a suo modo un divo. Le “casalinghe di Voghera” lo adoravano. Aveva anche fatto teatro, non in grandissime parti, ma in spettacoli prestigiosi.
Giorgio si inserì subito e felicemente nel nostro gruppo di “vecchi” teatranti. Quanto ai miei rapporti personali con lui, che partono proprio da quella stagione, vi rimanderei al Sito Web di Giorgio Albertazzi. Nella Home Page , se cliccate su: Appunti di viaggio, troverete Diario di Anna Proclemer. Ebbene ci sono pagine e pagine su questo viaggio in Sud America e su molto altro che è successo dopo.
Il viaggio fu strepitoso. Come successo, fatica, divertimento, e anche pericolo. Capitammo a Buenos Aires che stavano cacciando Peron. Le navi dell’ammiraglio Rojas erano nel porto con i cannoni puntati sulla città. Nel nostro lussuosissimo albergo, dove ci avevano praticamente segregato, niente servizio, niente ristorante, niente colazioni. La sera veniva a prenderci un tizio dell’ambasciata. Ci faceva sdraiare sul fondo della macchina per non farci vedere dalla polizia e ci portava in case favolose, di miliardari italiani un po’ cafoni, tipo Il gaucho di Dino Risi.
Quando finalmente riuscimmo ad andare in scena l’esito fu trionfale, per tutti gli spettacoli. L’unico che deluse un po’ fu la Beatrice Cenci di Alberto Moravia. Era lo scrittore più famoso, anche all’estero, di quelli che presentavamo. Forse il pubblico si aspettava di più. Ma il testo non era del tutto riuscito; troppo verboso, privo di ritmo, di scarso impatto emotivo, malgrado il tema virulento. Nemmeno l’immensa bravura di Tino Buazzelli riuscì a salvarlo. Anch’io ce la misi tutta, e onestamente non ero male, ma non bastò.
Questo spettacolo comunque servì a rafforzare la mia amicizia con Tino. Avevo per lui una grande ammirazione fin dai tempi del Teatro di Costa. Avevo fatto con lui diversi spettacoli; Scontro nella notte, L’amore dei quattro colonnelli, Le colonne della società. Ogni volta mi aveva colpito la sua potenza trattenuta, la sua generosità nel rapporto scenico, la sua verità spoglia di orpelli naturalistici, la sua segreta tenerezza e il suo indomabile sense of humour.
Dopo l’America non avemmo più occasioni di incontrarci in scena. Peccato. Ma io andavo sempre a vederlo e lo ricordo, gigantesco, nel Galileo di Brecht, diretto da Strehler. |
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