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Ne ho fatta poca. Non mi ha mai entusiasmato. Né farla, né vederla.
In televisione mi piacciono soprattutto i films. Specie in bianco e nero. I classici, per intenderci, quelli che si vedono a notte fonda e devo mettermi le cuffie per non disturbare i vicini. Quarto potere, Casablanca, La vita è meravigliosa li avrò visti decine di volte. Adoro rivedere.
Ergo: non mi piace la televisione.
La guardo per noia, per malumore, perché mi sento sola, perché non ho altro da fare. E ogni volta che la guardo serpeggia in me uno sgradevole senso di rimorso: ma che sto facendo? ma perché non mi leggo un bel libro…
I primi tempi era meglio. Quando si andava “in diretta” e a ogni passo poteva succedere l’irreparabile.
Una bella esperienza fu l’Idiota, stupenda riduzione di Albertazzi del romanzo di Dostojevsij, sua mirabile interpretazione, importante regìa di Giacomo Vaccari, e una incredibile distribuzione: da Volonté a Tofano, dalla Volonghi alla Guarnieri a Santuccio ecc. ecc.
Poi feci delle commedie, alcune anche importanti, come La donna del mare , Anna Christie, La foresta pietrificata…. La Rai le ha cancellate, va’ a sapere perché. Forse risparmiavano sui nastri di incisione.
Con Romolo Siena, quattro puntate di uno spettacolo di varietà che si chiamava Carta bianca, in cui facevo un po’ di tutto. Perfino ballavo e, dio mi perdoni, cantavo. I testi erano di Ennio Flajano, insomma era una cosa piuttosto raffinata. La videro in pochi. Bellissime critiche per me. Cancellata anche questa.
Negli anni 1968 e 1969, con la regìa di Davide Montemurri, tre testi importanti: Anna dei miracoli, Agamennone, La parigina di Henry Becque. Questi, se dio vuole, non sono stati cancellati.
E qui dovrei aprire un capitolo su Davide.
Non so da dove cominciare. Troppe cose da dire. Una vita. Una vita di esperienze condivise, una vita di incontri e scontri, una vita d’amore e disamore, di infinite tenerezze e di bizzarre repulsioni.
Davide. Che mi diede il suo monocamera a via Nicotera, quando avevo bisogno di liberarmi da tutti i legami che mi stavano soffocando. E mi salvò così da una grave crisi d’identità, che rischiava di uccidermi.
Davide che mi truccava con infinita pazienza (è bravissimo) e poi mi faceva le più belle foto che io abbia mai avuto nella mia vita.
Davide che ascoltava con me chilometri di nastri (non c’erano i cd a quel tempo) di musica classica e poi me li registrava, scrivendo le etichette precisissime, con la sua calligrafia così preziosa. Li ho ancora, li ascolto ancora.
Davide che come me ama sopra tutti Mozart e Bach, e che se li mettiamo in cima alla torre non sa chi buttare giù. No, invece. L’altro giorno mi ha detto, per telefono, che senza Bach lui non può vivere. Gli ho detto che io invece sono ancora dilaniata dal dubbio.
“Ma non potremmo buttare giù Beethoven? ho scoperto che in fondo mi sta sul cazzo” dice. “Non possiamo, Davide, non c’è Beethoven sulla torre. L’abbiamo buttato giù tanto tempo fa, non ti ricordi?… “ “Ah, va bè…”
Davide che mi ha fatto ridere come nessuno nella vita, davvero fino alle lagrime. Con i suoi giochi di parole, con le sue imitazioni (irresistibile quando parla con l’accento tedesco o russo!), con le sue invenzioni ludiche. Davide. Un bambino. E come tutti i bambini anche un mostro.
Nella Parigina mi aggiustò, mi inquadrò e mi fotografò così bene che per la prima volta, rivedendomi sullo schermo, mi sono piaciuta.
Con Davide, nel 1998, ho registrato per la radio, Rai 3, venti puntate di lettura di uno stupendo romanzo di Virginia Woolf: Al Faro. Furono giorni di lavoro incantati. Ritrovammo una sintonia di anime, una felicità di condivisione emotiva che sembrava inattaccabile.
Invece, poco dopo, ci fu una crisi. Poi finì. Adesso siamo in periodo amoroso. Ma se anche torneremo a detestarci, io so per certo che Davide è un punto fermo nella mia esistenza.
1981 George Sand - 4 puntate. Testo e regìa di Albertazzi. Ci misero in seconda serata. Peccato. Era un bel ritratto, anche se un po’ confuso, della grande George. Io ero inquadrata e fotografata da Giorgio in modo talmente lusinghiero, che quando mi rivedevo via via sul monitor mi sentivo poi obbligata ad essere all’altezza di tanta avvenenza. Per paura di apparire un po’ meno bella, frenavo la mia espressività. Risultato: un prodotto visivamente molto pregevole e una mia interpretazione piuttosto banale. |
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